Ipazia: filosofa delle stelle o suffragetta da cristianizzare?

ipazia251“Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia”. Queste le parole di San Paolo, celebre apostolo della dottrina cristiana.

Seconda metà del IV secolo, Alessandria: una donna, per di più pagana, insegna nella comunità alessandrina. Tra i suoi allievi Sinesio, futuro vescovo di Cirene, che soleva chiamarla “madre” e “patrona”: testimonianza, questa, della grande stima di un uomo cristiano nei confronti di una donna pagana. Filosofa, scienziata, matematica e anche di più: prima suffragetta della storia.

Non brucia reggiseni ma rifiuta il matrimonio, la sottomissione all’uomo, l’interpretazione maschilista delle scritture sacre. Un aneddoto racconta che un suo allievo, infatuatosi della saggia maestra, si dichiari. La risposta che riceve è una pezza di stoffa sporca di sangue mestruale, accompagnata dalle parole: “Questo è ciò che tu ami, giovanotto, e non è bello”.

Si distingue tanto nel campo della scienza da essere considerata una minaccia. È riconosciuta nella società di Alessandria, rispettata al pari di un uomo. Tra le sue amicizie più influenti, il prefetto Oreste. Ma Ipazia non solo nasce donna in un mondo di uomini: è una pagana che rifiuta la conversione al cristianesimo, la fede come atto politico e non spirituale.

Fonti attendibili raccontano che un giorno il vescovo Cirillo si trovi nei pressi della dimora della filosofa e noti una folla tutto intorno. Chiede quale sia il motivo di tale confusione. Gli viene risposto che alcuni curiali sono andati a far visita alla celebre Ipazia, seguendo il prefetto Oreste.

Il vescovo interpreta la stima che uomini rispettabili nutrono nei confronti di una pagana, una strega eretica, come un’offesa alla religione. Cresce così l’odio per la bella scienziata.

Invidia o paura, il sentimento che spinge i parabolani a perseguitarla? Monaci giunti dal deserto, esaltati dal fanatismo religioso: nel momento in cui vengono emessi i decreti teodosiani, distruggono i templi di Alessandria, fonte di un inestimabile sapere.  Un giorno di Marzo del 415, guidati da Pietro il lettore, trucidano Ipazia in una chiesa con strumenti affilati, pezzi di vetro o di conchiglia. Ne portano i resti in una località, il Cinarone, e qui li bruciano.

Si conclude così una guerra: quella tra il massimo potere ecclesiastico -Cirillo- e il fulcro della cultura -Ipazia-.

Tra le scoperte scientifiche della filosofa quella dell’ellisse. Una rivoluzione pericolosa, che mette in discussione il cerchio, simbolo della perfezione. Quasi come se la filosofa volesse rivendicare una diversa tipologia di perfezione -quella femminile- contro una convenzionale e inviolabile –quella maschile. Il personaggio di Ipazia è di fondamentale importanza nella questione della libertà di pensiero femminile. Il suo esempio si tramanda, nel corso della storia, fino ai nostri tempi:  martire del fanatismo della religione, guerriera ed eroina contro un esercito di uomini, icona di sapienza femminile. Noi, oggi, vogliamo ricordarla con le parole del poeta Pallada “Yπατία σεμνή, τῶν λόγων εὐμορφία, ἄχραντον ἄστρον τῆς σοφῆς παιδεύσεως”, “Ipazia sacra, bellezza delle parole, astro incontaminato della sapiente cultura”.

Articolo scritto da Gabriella Corigliano

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