C’e’ ancora posto per la religione?

TR07_gennaio_3Il 6 gennaio, il settimanale satirico “Charlie Hebdo” ha ricordato l’efferato attentato di cui è stato vittima lo scorso anno. Lo ha fatto con una copertina che ha suscitato non poco scalpore: una vignetta raffigurava un Dio generico armato di kalashnikov e sporco di sangue, mentre poco più in alto campeggiavano le parole “Un anno dopo il colpevole è ancora in libertà”.

Negli ultimi decenni, il modo della società di rapportarsi alla religione, e più in generale alla sfera spirituale dell’uomo, è cambiato profondamente.  È sicuramente più problematico, a volte più genuino, molto spesso anche più conflittuale. I dati mostrano come, in Occidente, la tendenza ad abbondonare le religioni tradizionali sia in crescita. Già da anni si parla di secolarizzazione. Le cause del fenomeno sono diverse. In campo scientifico-tecnologico l’umanità ha compiuto notevolissimi progressi: da un lato sono visibilmente migliorate le condizioni di vita, dall’altro limiti un tempo ritenuti invalicabili sono stati superati. Oggi gli scienziati dimostrano che è possibile incrociare il DNA di due specie diverse, clonare un animale, far nascere una vita in provetta. Parimenti, l’economia capitalista insegna che, se i soldi non fanno la felicità, certo garantiscono benessere.  Le strutture della società sono in continua ridefinizione: ad esempio, la composizione della famiglia cambia e si propongono nuove forme di matrimonio e di genitorialità. Agli occhi di molti, la mutevolezza di questo mondo stride con la dimensione “eterna” delle religioni. La fede sembra essere diventata un contenitore di principi e dogmi antiquati, spesso sinonimo di oscurantismo o di violenza. Allora, non se ne comprende più il senso e talvolta si arriva persino a combatterla. Ma è veramente possibile – e desiderabile – un mondo senza religione?

Il campo di interesse della religione è duplice: la vita eterna e la vita terrena. Essa indaga l’esistenza in tutte le sue fasi, in tutte le sue sfaccettature e nel suo significato più complesso. Nasce dal bisogno dell’uomo di comprendere, dalla sua naturale attitudine ad interrogarsi circa il senso delle cose. La scienza può trovare una risposta a tanti perché, ma non a quelli più grandi. L’osservazione della natura, nella sua perfetta complessità, induce l’uomo a credere che esistano leggi invisibili che la regolano, che essa miri ad un traguardo più grande rispetto alla semplice conservazione. Negare il sentimento religioso significa negare una parte costitutiva dell’essere umano. La religione è, per questo motivo, una forma di conoscenza irrinunciabile, che condivide con le scienze una pari dignità. Infatti, se la cultura scientifica fornisce una prospettiva “orizzontale” sulla realtà, la religione – assieme alla filosofia – ne permette una di tipo “verticale”, consente di vedere ciò che agli occhi è invisibile. Una simile idea del mondo, in cui le cose assumono un valore che va oltre la loro apparenza, spinge l’uomo ad attribuire anche la giusta dignità all’altro. Troppo spesso accade che ci si abbassi a considerare altri uomini solo come oggetti o come mezzi del proprio agire, la religione ricorda, invece, che l’importanza dell’altro risiede in lui, nel suo essere anello insostituibile di un universo di relazioni molto più grande. La fede invita a riconsiderare il valore delle relazioni, a vivere situazioni di intersoggettività, a superare l’individualismo. La religione, come modo d’intendere l’esistenza, è, infine, morale ed eticità ed è in grado di fornire il proprio punto di vista su tante questioni aperte e il proprio contributo in tanti ambiti diversi.

Certo, credere in qualcosa significa farsi portatori di una verità, non di una flebile opinione. E forse è proprio questo che spaventa maggiormente la nostra società, troppo abituata a comodi relativismi.

Articolo scritto da Giacomo Righetti

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