Compagni di scena

TR04_dicembre_3Il sole è già sorto. Apre gli occhi, fissa il soffitto e giace immobile. Finalmente trova la forza di sottrarsi al tepore delle lenzuola, e ancora assonnato osserva se stesso allo specchio: due occhi turbati lo fissano e lo interrogano: cosa dovranno comunicare alla gente lì fuori?

Gli tornano in mente le innumerevoli questioni ancora irrisolte che lo accompagnano da tempo, pronte ad ospitarne delle nuove nelle prossime ore; tenta ancora una volta di sostituire i punti ai punti interrogativi: nulla da fare.

Delusioni, gioie e pensieri confusi fanno a pugni dentro di lui: Cosa gli succede?

Non riesce a spiegarselo. Qualcuno sussurra dentro di lui parole incomprensibili. Forse gli altri potrebbero capire, e se così non fosse? Meglio far finta di nulla.

È tardi. Apre l’armadio, come sempre pieno e in disordine e si ferma un attimo a pensare: Quale maschera dovrà indossare oggi?

È questa la storia dell’uomo, la storia di ogni uomo, una storia che ben conosciamo.

<<Tutta la vita umana non è se non una commedia, in cui ognuno recita con una maschera diversa, e continua nella parte, finchè il gran direttore di scena gli fa lasciare il palcoscenico>> afferma Erasmo da Rotterdam centrando il bersaglio.

Ogni giorno infatti siamo partecipi di una rappresentazione teatrale che include innumerevoli personaggi dagli svariati costumi, che ci stanno attorno e con i quali trascorriamo gran parte del nostro tempo, ma ci caliamo così tanto nei panni del personaggio che dobbiamo rappresentare, da renderlo parte di noi stessi e da dimenticare che anche chi ci guarda e ci sta a fianco è coinvolto nella scena.

Succede però che nessuno conosce il finale e pertanto ognuno vorrebbe scriverlo a modo proprio coinvolgendo gli altri, che però hanno in mente conclusioni differenti. Cerchiamo di giungere ad un accordo, ma talvolta sembra impossibile, allora allontaniamo chi ha in mente storie troppo diverse e ci avviciniamo piuttosto a chi sembra interessato alla nostra. Anche chi ci sta vicino col tempo inizia ad assumere atteggiamenti a noi incomprensibili; così iniziamo a preoccuparci, le nostre certezze vengono meno e ci interroghiamo sul modo in cui dovremmo rispondere a tali cambiamenti. Siamo però talmente impegnati ad osservare scrupolosamente i loro costumi di scena da non pensare che forse anche sotto quelle maschere una voce sussurra parole incomprensibili, da non pensare che probabilmente abbiamo scelto di fare lo stesso mestiere per una ragione in comune. Ci sono dei momenti in cui vorremmo mostrarci nella pienezza del nostro essere, ma per troppo tempo ci siamo nascosti, e pertanto aspettiamo che siano prima gli altri a farlo.

Succede che un giorno incrociamo gli sguardi di coloro che ci stanno attorno, scorgiamo il volto che si nasconde sotto la loro maschera, e li immaginiamo guardarsi allo specchio e turbarsi come noi; magari vorrebbero gettare via la maschera ma non osano, magari sono spiriti liberi che nascondono di essere cuori infranti, superbi, immedicabili: ed è in quel momento che dovremmo renderci conto che forse vale la pena mettere a nudo una parte di noi stessi per salvare qualcuno o dargli la speranza di trovare una via di scampo.

E se, dunque, <<riducessimo le ore di lavoro>>? Cosa succederebbe se gettassimo via la maschera che abbiamo fatto diventare padrona di noi stessi e urlassimo al mondo chi siamo, piuttosto che indossare le vesti di chi vorremmo essere?

Articolo scritto da Ylenia Sangiorgio

Stile: 2
Originalità: 3
Messaggio positivo: 1
Cogitabilità: 2

 

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