Apriamo mente e cuore all’ospitalità

TR09_marzo_3Gli antichi ci hanno insegnato che l’ospitalità è una regola di convivenza civile. La parola “ospite” deriva dal latino hospes, “straniero favorevole” . Per i greci l’ospitalità era un diritto-dovere voluto dagli dei. La xenia (ospitalità in greco) si basava su tre regole: il rispetto del padrone di casa verso l’ospite,il rispetto dell’ospite verso il padrone di casa,la consegna di un “regalo d’addio” all’ospite da parte del padrone di casa. Dunque dal suo canto colui che ospitava doveva trattare l’ospitato, come fosse l’incarnazione di una divinità e dunque fare qualunque concessione possibile. L’ospite, invece, doveva assumere un atteggiamento gentile e non invadente. L’ospitalità rappresentava un legame durevole di solidarietà, che si manifestava con uno scambio di beni e favori.

Oggi sembra che il diritto all’ospitalità sia determinato più dalle necessità dell’ospite piuttosto che dalla disposizione naturale dell’animo dell’ospitante. Capita spesso di aver paura anche quando qualcuno per strada ci chiede l’orario. Quante volte,in una fredda giornata invernale,vediamo steso sul ciglio della strada un disagiato, lo guardiamo e andiamo avanti? Questo è un dato di fatto che certamente scaturisce da un insieme di disvalori della nostra società globalizzata.

Perché abbiamo paura della gente che crediamo essere diversa da noi? Nausicaa vedendo Odisseo, un uomo distrutto dalla guerra,vestito di stracci, ci si avvicina e lo porta anche nella sua reggia. L’ospite viene accolto con un banchetto imbandito. Oggi,invece, davanti ad un barcone di immigrati che approda lungo le nostre coste,la maggior parte della popolazione italiana rimane indifferente. Gli stranieri vengono considerati  allo stesso tempo una risorsa e un problema: una risorsa perché occupano i posti di lavoro che richiedono più sacrificio fisico e che spesso gli italiani rifiutano. Solo l’1% occupa posti dirigenziali,oltre il 70% degli stranieri è impiegato come operaio con un salario al di sotto della dignità umana in proporzione alle ore di lavoro e all’entità dell’attività; un problema perché si crede possano minacciare l’equilibrio della società e perché si vede  che la faccenda  è gestita male ed è infinita. Queste persone scappano dalle loro patrie non per il puro divertimento di viaggiare giornate intere su barche che non possono definirsi tali, o per investire tutti i lori averi in un triste viaggio, ma per una reale situazione di disperazione. Scappano dalla violenza,dalla guerra, da una situazione non di certo favorevole allo sviluppo,scappano in cerca di speranza. Bisogna tuttavia fare una distinzione tra profughi ovvero coloro che sono costretti ad abbandonare il proprio paese o il luogo di abituale dimora a causa di catastrofi naturali, guerre o persecuzioni; e i richiedenti asilo  cioè quei cittadini stranieri che hanno presentato istanza di asilo politico alle autorità di pubblica sicurezza per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato.

Spesso tra la popolazione si genera quel sentimento di xenofobia per cui si ha paura dello straniero. Ma perché non proviamo a pensare a cosa provano le centinaia di immigranti? Non dobbiamo dimenticare che queste  persone abbandonano tutto. In loro si generano numerose paure, quella dei pregiudizi,quella della precarietà,della discriminazione,di perdere la propria di dignità. Sono sentimenti del tutto legittimi perché è vero, al di fuori degli antichi che onoravano gli ospiti,in tutte le culture e le società, la diversità etnica ha generato paura. Purtroppo è una regola di natura. Ci sentiamo così tanto moderni ma in realtà l’antica Grecia aveva una mentalità molto più aperta della nostra nonostante siamo andati avanti negli anni. Allora perché non possiamo fare un salto di qualità,e superare le nostre paure? La strada giusta è quella della tolleranza,dell’ospitalità,dell’accoglienza  perché in fondo nella diversità siamo tutti uguali.

Articolo scritto da Marta Scollo

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