Cervelli in fuga

TR10_febbraio_03È vero, i giovani fuggono dall’Italia.

“Questo paese, non è più un posto di cui essere orgogliosi”

“Finiti gli studi, è meglio che tu vada all’estero: qui per te non c’è futuro”

Così anche gli adulti si sono rassegnati a veder partire i figli alla ricerca di un lavoro. Così era successo tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, così negli anni 50-60 del Novecento.

Ma quale la reale causa del loro vagare, che ormai non sembra riguardare più solo la possibilità di un futuro lavorativo migliore.

I giovani fuggono anche per fare nuove esperienze, per allontanarsi da genitori possessivi, se ne vanno per il semplice piacere di farlo, per esplorare, per vivere nuove culture, per imparare. Spesso, a sproposito, si pensa che “la fuga dei cervelli” riguardi solo l’Italia, perché “qui non c’è lavoro, qui va tutto male, e lo studio non porterà al raggiungimento dei propri obiettivi professionali.”

Eppure questi giovani sembrano non fuggire solo dall’Italia, ma anche da Francia, Inghilterra e addirittura Germania, considerata tra le mete più ambite dagli italiani, in cui si pensa che tutto sia possibile, ogni cosa funzioni con efficienza e immediatezza.

Dunque, non sempre si può parlare di una fuga nel vero senso della parola, per alcuni giovani partire rappresenta più un’esigenza, una sorta di viaggio costruttivo che sembra ormai necessario compiere.

Se si riflette sul fenomeno, in realtà, non ci si dovrebbe allarmare troppo. Basti pensare al ‘700, periodo in cui si è vista emergere la classe mercantile, caratterizzata dalla voglia di viaggiare, di andare per mare alla ricerca di indipendenza e libertà. Anche la letteratura si fa portavoce di quell’esigenza: Robinson Crusoe, divenuto un classico intramontabile, esprime in maniera efficace, il desiderio d’avventura di un ragazzino che, oppresso dalla società, decide di partire.

Questo desiderio di viaggio presenta anche degli aspetti negativi. I giovani partono e non ritornano e così la nazione diventa vecchia, stanca, polverosa, mancano quell’innovazione e brillantezza caratteristica dei giovani.

L’Italia è palesemente e maggiormente in difficoltà in questo periodo rispetto alle altre nazioni e, nonostante non sia la causa principale, la disoccupazione alimenta le fughe, e questo è un dato assolutamente da cambiare. Ormai noi Italiani, inutile nasconderlo, non godiamo di buona fama nel panorama europeo, manchiamo di credibilità e, fuggendo dal nostro paese, non facciamo che rafforzare questa opinione, diventata senso comune.

Viene definita “fuga di cervelli” perché, effettivamente, ogni giovane mente potrebbe rappresentare una risorsa per il nostro Stato, pertanto bisognerebbe restare a lottare per il nostro paese, impegnarci perché diventi migliore.

Sicuramente è importante viaggiare, esplorare il mondo e far esperienza per poi tornare in Italia e impegnarsi a diffondere quanto assimilato, per far crescere il nostro di paese.

Articolo scritto da Marta Vianelli

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