In missione per l’Africa

TR09_gennaio_2Il sole ormai sta tramontando, i suoi raggi nel cielo creano quasi una luce mistica. Persino il giardino in cui sono seduta sembra essere ammantato di una quiete, che inevitabilmente si percepisce e rasserena l’atmosfera, rendendo ancora più gradevole la conversazione tra me e Federica. Federica Furnari è una ragazza di vent’anni che porta con sé una grande ricchezza. Una ricchezza che non tutti possiedono, non tutti possono acquisire. Non è materiale, è una di quelle cose che ti riempie la vita, che ti sorprende e forse ti scuote l’anima. Federica ha avuto la fortuna di vedere con i propri occhi, toccare con le proprie mani e aiutare con il proprio cuore una parte di mondo che soffre. La sua esperienza inizia il 2 marzo del 2015 e si conclude dopo circa un mese. Sono i laghi, le grandi foreste, le estese coltivazioni di caffè e di riso dell’Uganda, uno stato dell’Africa orientale, che accolgono Federica. Non è facile partire per visitare quei luoghi, soprattutto se sai che ti confronterai con realtà difficili, e se sai di voler dare un aiuto concreto. La televisione ci trasmette notizie che ci permettono di costruire un’idea del mondo ben precisa, edificano nelle nostre menti luoghi e situazioni; ma ciò che l’occhio può vedere, ciò che il cuore può percepire è tutt’altra cosa. E’ questo uno dei motivi che spinge Federica a intraprendere questa avventura. Nel momento in cui le chiedo di condividere tutto ciò, inizia parlando di un’esperienza. “L’Africa ti cambia, ti scuote. Sopratutto non posso mai dimenticare ciò che mi hanno lasciato i safari”. Nei safari ci si inoltra nelle foreste e ogni 60 km, Federica, si imbatteva nella realtà di un villaggio. “Nei villaggi c’è la povertà assoluta, i bambini escono nelle strade nudi rischiando di essere investiti”, ci racconta di strade lunghe, senza illuminazione, fangose e scarne. Ma ciò che le arricchisce è l’accoglienza di quella gente: “Queste persone, appena ci vedevano, si avvicinavano ma non per farci del male, anzi eravamo accolti nei loro villaggi con grande festa e i bambini salutavano affettuosamente e calorosamente chiunque passasse”. E’ nella miseria, nella povertà, nella disperazione che trovano la gioia di donarti qualcosa.

Ma se è vero che tanto ha ricevuto, dai loro sorrisi e dalla loro ospitalità, è anche vero che Federica ha dato aiuto a chi nulla possedeva. “Avevo con me una valigia pieni di abiti per darli a chi ne aveva più bisogno, di solito vestono con gonne e pantaloni, non sanno cosa sia un paio di jeans. Cercavo di portare loro anche del cibo, lo distribuivo direttamente a quelle famiglie più bisognose”. Alcune esperienze non si possono dimenticare, diventano scritte indelebili dentro di te. I suoi occhi si riempiono di gioia, si illuminano e le sue labbra si incurvano in un sorriso pieno di nostalgia. E se gli occhi sono lo specchio dell’anima, riesco ad afferrare ancor più la bellezza delle sue parole mentre mi racconta: “Siamo andati in una casa in cui abitava una donna con due bambini, ho comprato cereali, ho portato con me abiti per donarli a loro. Dopo aver dato tutto ciò che avevo con me, la donna si è inginocchiata e con grande segno di umiltà mi ha ringraziato. Ho potuto tenere in braccio anche uno dei suoi figli, sono delle persone davvero piene di bontà”. Quando si vivono certe esperienze, capisci di più il valore delle cose che hai.

Donare se stessi agli altri, aiutare e porgere la mano a chi la richiede, andare oltre i propri luoghi,  spazi, abitudini, interessarsi, scoprire e diffondere sono azioni che richiedono un tale coraggio, ma che dovrebbero essere svolte da tutti. Un mondo in cui vige la cooperazione tra coloro che lo abitano è l’emblema di un messaggio umanitario che deve giungere nelle nostre case, scuole, città e nazioni. La scuola, soprattutto, deve promuovere un’educazione formativa mirata alla formazione del cittadino, e alla conoscenza di idee che permettono l’edificazione di un progetto che ci vede garanti di azioni volte al bene sociale.

Articolo scritto da Chiara Boscarello

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