Limiti
Li guardavo da lontano, che prendevano la rincorsa e si davano la spinta sul bordo, poi si raccoglievano su loro stessi – ricci appallottolati – e riaprivano le braccia come fossero ali. Non li stavo spiando, erano lì, animali esotici intenti a compiere una coreografia bellissima, come una danza iniziatica di popolazioni tribali. Non ho potuto fare a meno di pensare che fosse il loro modo di volare. Che nei loro muscoli tesi si leggesse una volontà di sfidare, non so cosa e non so perché e dubito lo sapessero loro. Questi esseri alati erano ragazzi sull’orlo di una scogliera troppo alta perché io potessi pensare anche solo di guardare giù verso le onde fluttuanti e che si libravano incuranti di tutto, sospesi per un momento su quella distesa di blu, per poi precipitare in una picchiata incosciente.
Ali di cera come Icaro, una cera sottile che inizia già a sciogliersi mentre corrono, prima di librarsi nel vuoto. Ho fantasticato sulla vicinanza impalpabile tra la sfida agli Dei del mitico figlio di Dedalo e quella di questi tuffatori imprudenti: una somiglianza accomunata dalla mancanza di consapevolezza di questi gesti. Perché il volo di Icaro è interpretato come superamento del limite della sfera umana e passaggio di quella divina solo a posteriori, ma il suo valore simbolico sarà sempre subordinato a quell’unica motivazione che lo ha fatto ascendere su e su, troppo vicino al sole: l’ebbrezza. La bellezza di vedere il mondo dall’alto, di assaporare con uno sguardo quel minuscolo spicchio di infinito che è concesso all’uomo e che già così -soffocante nel respiro spezzato di meraviglia che si apre a contemplare quella distesa- è a malapena sopportabile. Del resto lo diceva anche Victor Hugo, riferendosi agli animali che per gli antichi greci sono sacri, vicini come sono a sfiorare le divinità, che “Alla zampa di ogni uccello che vola è legato il filo dell’infinito”.
E anche -o forse soprattutto- adesso, che i viaggi per luoghi lontani sono un’abitudine, che volare dentro un aeroplano, a miglia di quota gustandosi un caffè mentre si legge un giornale, anche adesso il bisogno di sentire il sole e il vento che scottano la pelle, di lasciarsi cadere verso una natura che, nonostante tutti gli sforzi per assoggettarla al nostro controllo e farla sottostare ai nostri comandi, è ignota, anche adesso quell’istinto non abbandona tutti gli Icaro che dall’alto di una scogliera, con un paio di ali fatte di coraggio che supererebbero per velocità quelle del messaggero degli dei, sono pronti a buttarsi per sentirsi vivi. Per sentirsi, in quell’istante vertiginoso, degli dei.
Articolo scritto da Giulia Coppi
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