Non aspettatevi razzismo da me

TR18_dicembre_1“Sì. Un musulmano mi ha fatto saltare in aria, e ho perso una gamba.”

Inizia così il post scritto su Facebook da Chris Herbert, il diciannovenne soldato inglese rimasto mutilato quando una bomba ha colpito il veicolo su cui si trovava, durante una missione in Iraq. Numerosissime persone, in seguito ai tragici eventi di Parigi, hanno preso la vicenda del giovane soldato come un pretesto per accanirsi ulteriormente contro i musulmani. Il ragazzo, stanco e frustrato da coloro che non facevano che aspettarsi una reazione fortemente razzista da parte sua, ha perciò deciso di scrivere un lungo messaggio in cui racconta di tutte le persone musulmane che l’hanno soccorso e aiutato subito dopo l’incidente.

“Anche un uomo musulmano ha perso un braccio quel giorno, indossando la divisa britannica.

Un medico musulmano era sull’elicottero che mi ha prelevato dal campo.

Un chirurgo musulmano ha fatto l’operazione che mi ha salvato la vita.”

Herbert non è l’unico, infatti, ad aver subito una perdita quel giorno: oltre all’uomo citato nel suo discorso, l’altro soldato presente nel veicolo insieme a loro ha perso la vita. E cosa è allora una gamba o un braccio, quando c’è chi non rivedrà più il sole, non abbraccerà più i suoi cari, non calpesterà più la propria terra?

“Un’infermiera musulmana faceva parte del team che mi ha aiutato una volta tornato nel Regno Unito.

Un assistente sanitario musulmano era nel gruppo che giorno dopo giorno mi ha aiutato nella riabilitazione quando stavo imparando a camminare.

Un tassista musulmano non mi ha fatto pagare la corsa la prima volta che sono andato a bere una birra con mio padre dopo che sono tornato a casa.

Un dottore musulmano ha dato conforto e consiglio a mio padre in un pub, quando non sapeva come gestire i miei medicinali e gli effetti collaterali.”

La vita di Chris è stata salvata da diverse persone, tanto da cristiani quanto da musulmani. Il suo messaggio ha suscitato grande approvazione attraverso il web, soprattutto perché pubblicato pochi giorni dopo il discorso di Donald Trump, candidato repubblicano alle primarie per le presidenziali del 2016, il quale sosteneva che bandire tutti i musulmani dagli Stati Uniti fosse la scelta migliore.

Inoltre, nel suo messaggio il soldato racconta di alcuni comportamenti ben poco galanti nei suoi confronti da parte di “britannici bianchi”.

“Un inglese bianco ha spinto via la mia carrozzina dall’ascensore, cosicché potesse usarlo lui per primo.

Un inglese bianco ha urlato contro mio padre per aver parcheggiato nel posto riservato ai disabili quando stavo tornando a casa.”

Il dolore più grande, probabilmente, è proprio questo: l’indifferenza e lo sdegno dei suoi stessi compatriotti. Le persone più vicine a lui, da cui è naturale pensare che avrebbe ricevuto comprensione  e rispetto, sono le prime a tradirlo. A riprova del fatto che tra parole (vane) e fatti concreti, la differenza è abissale.  Eppure Chris non si scoraggia, ci tiene a precisare che “ad ogni modo, molte persone mi hanno aiutato durante il mio ricovero! Non odio neanche gli inglesi bianchi!”. Prosegue affermando che chiunque può sentirsi libero di odiare un intero popolo per le azioni di qualche esaltato, ma di non usare la sua disgrazia come un pretesto per inneggiare alla violenza, considerandolo un bersaglio facile a causa di ciò che gli è successo.

“Incolpare tutti i musulmani per le azioni di gruppi come Daeshe e Talebani è come incolpare tutti i Cristiani per le azioni del Ku Klux Klan.”

Fare d’ogni erba un fascio, insomma, non è mai stata – e non sarà mai – la giusta soluzione. In un clima di tensioni e continui scontri, però, sembra essere fondamentale ricordarlo incessantemente. Chris Herbert con le sue parole sembra voler ricordare ad un’umanità che di umano ha sempre meno quella tolleranza e quell’uguaglianza che rischiano di andare perse giorno dopo giorno.

Articolo scritto da Francesca Sartori

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