Piu’ comunitari, meno “extra”

12087586_902533339837332_1985478325_nL’ultima cosa che mi sarei aspettata, uscendo dal cinema, era questa: tornare a casa, andare a dormire, e svegliarmi… in quel posto, qualunque posto fosse quello!

Avevo visto “The Martian” in una multisala, quindi, trovandomi circondata da terra rossa e colline, pensavo fosse uno scherzo, un sogno, o che fossi impazzita.

All’improvviso, però, vidi delle figure con le antenne venire verso di me con una strana tuta; non avevo più alcun dubbio: ero andata fuori di testa!

Chissà, magari era una buona scusa per non dover più studiare.

In qualunque caso, so cosa state pensando: “Certo, hai incontrato gli alieni e ti aspetti che io ci creda?”; e no, non mi aspetto che ci crediate perché neanche io, se qualcuno me lo raccontasse, ci crederei, ma vi assicuro che è tutto vero.

Del resto, neanche io ci credevo attraversando quelle colline, sporca e decisamente confusa, e ci credevo sempre di meno ad ogni passo che facevo, mentre in lontananza si avvicinava l’immagine di una città.

Mi portarono in questo strano edificio, enorme, con delle alte mura, dall’aspetto per nulla rassicurante, mi condussero in un grande cortile, e lo so che è impossibile, ma esso era pieno di altri ragazzi.

Per tutto il tempo gli alieni avevano parlato fra di loro in una lingua che non conoscevo; guardandomi in giro ne vedevo decine di altri con addosso quella tuta, a controllarci: dovevano essere guardie ed erano molte di più di quanti non fossimo noi.

Non conosco bene le espressioni degli alieni, ma sono abbastanza sicura che la loro non fosse  amichevole. Parlando con alcuni dei ragazzi, scoprii il perché. Ci consideravano clandestini, avevano paura di noi: che potessimo portare delle malattie, far loro del male, probabilmente qualcuno era arrivato a dire in quella strana lingua: “Ci rubano il lavoro! Dobbiamo pensare prima ai marziani!”. Dissero anche che ci volevano rimandare indietro sulla Terra: come avrebbero fatto non lo ignoravo, visto che non sapevo neanche come ci fossi finita, fuori dalla Terra. Ma chissà che questo nuovo pianeta non sarebbe stato migliore del nostro, o almeno, così speravamo in tanti.

Cominciarono a farci avanzare, ci prendevano le impronte digitali, ci facevano delle domande che non capivamo, penso che ci catalogassero.

Un alieno mi mise un braccialetto, mi rimandò in cortile. Non molto tempo dopo, mi addormentai. Il cielo sopra di me, di una strana sfumatura di arancione, fu l’ultima cosa che vidi.

Poi un raggio di sole mi colpisce gli occhi, svegliandomi.

Giro lo sguardo attorno a me, aspettandomi di vedere un pianeta rosso e degli extraterrestri dagli occhi viola, ma vedo solo le pareti della mia camera e capisco di aver sognato.

Col nuovo giorno, salendo sull’autobus per andare a scuola, mentre ripenso a quello strano sogno, inaspettatamente una brusca frenata ci fa barcollare tutti all’indietro.

Qualcuno mi afferra, impedendomi di cadere malamente. Davanti a me vedo un ragazzo di colore che mi sorride, stringendomi la mano destra.

“Grazie”, dico sorridendo di rimando, lui fa un cenno con la testa e lascia la “presa salvifica”, non capisce la mia lingua.

Guardandolo, penso che quelli che noi chiamiamo “extracomunitari”,  siano simili agli extraterrestri del mio sogno: hanno usanze e stili di vita originali ai nostri occhi e lingue incomprensibili alle nostre orecchie.

A volte questa diversità ci sconvolge e ci spaventa ma anche loro, proprio come noi, possono essere basiti e intimoriti dal nostro modo di vivere; ai loro occhi siamo noi “l’extra” alla loro società!

Rifletto sulla bellezza straordinaria di scoprire nuove civiltà, superando barriere e paure, imparando a convivere con tutti gli uomini, indipendentemente dalla loro provenienza geografica.

Per essere tutti meno degli “extra” e più delle “comunità” gli uni per gli altri è necessario ricominciare il viaggio.

Articolo scritto da Roberta Mazzaglia e Laura Forzese

Stile: 6
Originalità: 8
Messaggio positivo: 8
Cogitabilità: 7

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