Questo non e’ amore!

TR12_febbraio_1“Ma io la amavo”!” Suona più volte nella testa e nella bocca dell’ancora sanguinante omicida, puntato dalle fameliche bocche delle telecamere, con l’ultimo sguardo della sua amata ancora negli occhi. Rimbombano come fucilate le sentenze delle televisioni, di psicologi dal saggio aspetto, del vicino di casa o delle nostre madri rimaste pietrificate davanti al televisore in un misto di pietà e paura per se stesse. Solidarietà? Forse, o forse no; probabilmente è questo che manca alle donne rispetto alle proprie pari genere, ma non è certo solo questo il problema. Un omicidio può avere varie cause, giustificazioni, moventi in generale, ma cosa spinge un uomo ad uccidere la “cosa” che più ama? La “cosa” stessa! Perché dopo decenni di manifestazioni e lotte non è stata ancora cancellata quest’orribile affermazione! Qui non si tratta di giudicare un uomo in particolare, ma l’intera umanità che non è riuscita ancora a delineare esattamente la differenza tra i diritti di una “cosa” e quelli di una donna. Troppo spesso sentiamo profanare l’amore stesso in virtù di una povera anima fatta a brandelli dalla sua stessa passione, da un’attrazione malata per il proprio partner. Ma cosa gira nella mente folle di un “femminicida”? La parola femminicidio deriva da feminicide per alcuni, termine ritrovato in un antico scritto satirico inglese del 1801, per altri dal termine messicano indicante le donne morte negli scontri tra narcotrafficanti che dilaniano l’America Centrale da anni or sono. Nessuno dei due termini sembra, però, saziare la nostra fame di conoscenza, bisogna scendere più a fondo, nella psiche dell’assassino. Costui, possibilmente segnato da un’infanzia difficile, magari dall’assenza di una figura materna costante, si ritrova inesorabilmente aggrappato all’unica figura che lo ha scelto in vita, la donna che non ha mai avuto fin da bambino, o così credono molti studiosi. L’uomo o il ragazzo, vista l’elevata  frequenza di omicidi nella fascia d’età compresa tra i 18 e i 25 anni, non riesce, però, a vivere il rapporto in serenità e l’amore svanisce. Inizia a questo punto una morbosa fase di tira e molla che vede coinvolto un uomo ormai fuori controllo e spinto al limite della sopportazione e una donna da un lato spaventata dal suo futuro aggressore, dall’altro intenerita di fronte alla deplorevole condizione dell’ormai non più suo amato. La soluzione sarebbe chiudere quella che ormai è diventata una follia, fosse così semplice staremmo a parlar d’altro! L’amore tra i due è ormai morto, rimpiazzato dalla pazzia e dalla passione in senso negativo. La donna diventa una “cosa” appartenente al suo legittimo proprietario e si sa, quando una cosa è tua, gli altri te la devono prima chiedere. Lei si allontana, ma oramai è segnata a vita, e più tira la corda più questa diventa un’impiccagione vera e propria fino alla fine della follia. Finché morte non vi separi, così sia. “Ma io la amavo, era tutto quello che avevo”, ricominciamo da dove eravamo partiti, “sì, ma adesso non ce l’hai più”. Solo in Italia quasi nove milioni di donne hanno subito una qualche violenza da parte del loro partner e non: qui non parliamo di casi nello specifico, ma di una mentalità sbagliata. Una corrente di pensiero che nel 2016 porta ancora molte persone a definire la propria metà “mia”, purtroppo in senso affettivo, inconsapevole addirittura. Nell’anno in cui anche il cosiddetto “terzo genere” si sta facendo strada nella nostra cultura, troppo spesso dimentichiamo di essere ancora indietro perfino dinanzi a chi completa la nostra vita di uomini e a chi ci dà alla luce ogni giorno. Non amava l’uomo che ha sparato a sua moglie davanti i suoi figli. Non amava il ragazzo che si è buttato con la sua inerme fidanzatina dal settimo piano di un palazzo. No, questo non è amore!

Articolo scritto da Mauro Porto

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