A chi import(a) del Made in Italy?

TR12_marzo_1+0,9 %, è questo il dato che, per i più ottimisti, sembra preannunciare la fine del tunnel, ma l’Italia è davvero in crescita? Secondo i dati sì, che sebbene non siano del tutto soddisfacenti certificano comunque una lenta ripresa (e non potrebbe essere diversamente di fronte ai dati europei), per molti, però, poco oggettiva. Viviamo giorni duri, non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale e politico, vista la sempre più spinosa questione del terrorismo ormai alle porte e le varie difficoltà incontrate riguardo l’approvazione delle unioni civili e non solo. Tra una miriade di difficoltà, non va tralasciata affatto la questione delle importazioni, forse addirittura più vicina delle altre, avendo toccato uno dei pilastri della cultura italiana: i prodotti nostrani. Che le aziende italiane non passino momenti facili, è risaputo dal 1950, una delle poche annate di boom economico per le nostre attività, ormai massacrate da una spietata concorrenza e non di certo supportate dai recenti governi, che, dal 2007 ad oggi, non hanno fatto che incentivare le importazioni dall’estero, le quali inequivocabilmente hanno danneggiato il prodotto italiano, sicuramente migliore in termini di qualità, ma svantaggiato nella sfida dei prezzi. Ad oggi il produttore italiano deve far fronte ad una battaglia al ribasso, cui non può partecipare essendo già gravato dalla difficile situazione economica dello “Stivale”. Sono sempre più i casi di prodotti spacciati come italiani, ma provenienti dall’estero, scoperti dal Nas dei carabinieri, spronato ripetutamente dalle associazioni italiane, tra cui Coldiretti. Pomodori cinesi, arance turche, fichi caraibici, olive algerine, tutti beni primari coltivati in Italia e sicuramente sottoposti a controlli più rigidi, tali che il prodotto italiano non è nella lista nera di materie prime spesso contaminate da agenti chimici e pesticidi, che coinvolge molti dei paesi sopracitati. Coldiretti ha più volte chiesto, addirittura dal 2004, una legge sulla etichettatura obbligatoria dei prodotti esteri, ma le orecchie del governo sembrano essere orientate altrove, e sebbene la legge sia stata comunque approvata, non v’è traccia di alcuna applicazione oggettiva dei decreti. Tutto ciò non fa che gravare sul piccolo imprenditore che non può far altro che sottostare alla dura legge della globalizzazione, forse troppo accentuata dai cosiddetti “interventi umanitari” o così definiti dagli emissari governativi, mirati al soccorso delle economie estere, specialmente quelle colpite dalla piaga del terrorismo, ma anche dalla crisi come la  Grecia e la vicinissima Spagna, comunque simili a noi nella situazione di Import, ma soprattutto Export. È bene ricordare, dunque, una delle celeberrime frasi di Mahatma Gandhi, secondo il quale una nave che affonda non può salvarne un’altra nella stessa situazione; un po’ quello che sta cercando di fare l’Italia con la maggior parte dei Paesi in difficoltà appena citati, positivamente in senso umanitario, ma dannoso per le aziende italiane. Le imprese italiane, dunque, lanciano l’ennesimo campanello  d’allarme ai cittadini, di modo che tutti possano essere in grado di scegliere il bene non solo per salvaguardare la propria salute, ma anche per garantire la sopravvivenza delle aziende italiane e del Made in Italy in generale; perché agli Italiani deve import(are) del made in Italy!

Articolo scritto da Mauro Porto

Stile: 2
Originalità: 3
Messaggio positivo: 2
Cogitabilità: 2

Commenti
Back to Top