Anche la musica diventa digitale

TR02_dicembre_3Qualche settimana fa passeggiavo in un parco vicino casa. Era autunno e il frusciare delle foglie sugli alberi componeva una strana melodia. Sembrava una di quelle musiche classiche di inizio Novecento, tra il sacro e il profano. Straordinario il modo in cui venivo trasportata da quel suono.

Un’esperienza così intensa da indurmi ad analizzarla. Non c’entrava solo la colonna sonora di quella strana passeggiata, a incuriosirmi era più in generale il profondo cambiamento del rapporto con la musica. Niente più dischi in vinile, al tramonto anche i cd. E persino per i file musicali la pensione non è poi così lontana. Insomma, addio ai supporti fisici e rivoluzione in atto anche nel digitale. Resistono certo i concerti, ma le modalità di fruizione evolvono a ritmi velocissimi e lo spazio di condivisione si riduce. La musica sembra diventare qualcosa di individuale. Sono rimasta colpita dall’idea che non c’è più niente di fisico. È meglio o peggio? Prima la musica in qualche modo ci portava alla scoperta vera e propria di un nuovo continente della sensibilità, di un’autonoma capacità di liberazione dell’umano sentire. Ora la musica non si “possiede”: si ascolta e basta. O almeno questo mi ha lasciato intendere un ragazzo che ho intervistato.

“Da dove ascolti la musica?”

“Da Spotify, ovvio. Spotify è il Facebook della musica. Intendo dire che ha permesso di avere sugli smartphone una quantità illimitata di musica. Ma sei tu che scegli quali brani vuoi scaricare. Si possono creare playlist proprie e anche condividerle con i propri amici. Per questo dico che è quasi come un social network: ti permette di interagire con il mondo esterno a te.”

“E tu reputi sia una tendenza positiva o negativa la diffusione di Spotify?”

“Certo è che il rinnovamento musicale presenta risvolti sociali e di costume di grande interesse: noi siamo la generazione “online” e in un mondo in cui si sta perennemente connessi a internet è stata l’iniziativa del secolo quella di creare una piattaforma che offrisse tutta la musica in streaming. Il processo di ascolto è  molto più rapido e c’è sicuramente qualcosa di positivo in questo.”

“E non pensi che questo servizio abbia allontanato ancor di più i giovani da quei processi di condivisione già erosi dalla diffusione dei social?”

“Beh, questo è vero. E lo testimonia anche il fatto che i termini di servizio di Spotify impongono di farne un uso esclusivamente personale. Così si rischia di trasformare la musica in un sicuro rifugio da ciò che non vogliamo sentire o da ciò che ci fa star male.”

Da una parte il progresso della tecnologia non si può certo arrestare. E questo vale per tutto, musica compresa. Poco importa se si tratta di una forma d’arte che si è sviluppata nei suoi innumerevoli aspetti nel corso del tempo, fino a diventare linguaggio autonomo. Niente può impedire che tutti i servizi che ci vengono messi a disposizione, anche quelli che permettono di scaricare tutta la musica del mondo come Spotify, siano in linea con l’evoluzione digitale in cui siamo immersi. Ma si deve considerare che a farne le spese è l’interazione tra le persone. La musica è una dimensione in cui confrontarsi, può diventare uno strumento di crescita personale e di forte unione. Qualcosa di completamente astratto e, allo stesso tempo, incredibilmente concreto. E sicuramente musica e tecnologia possono coesistere: per esempio, la scorsa sera il progetto Pappanoinweb ha trasmetto un concerto di musica classica di Brahms in streaming sugli smartphone.

L’analisi dei pro e dei contro della diffusione di Spotify non è una denuncia a bandire dalla nostra vita le nuove tecnologie di fruizione. Ma un consiglio a non rinunciare alla socialità e a tutti i suoi effetti positivi sul nostro quotidiano. A utilizzarle le tecnologie, ma senza diventarne schiavi. Non smettendo mai di provare ad essere noi stessi protagonisti della loro evoluzione, trovando tra noi e i bit il giusto equilibrio.

Articolo scritto da Giulia Pellini

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