Apriamo le frontiere, apriamo la mente

TR05_novembre_3Venerdì 13 novembre 2015.

Ore 21.20 Un boato irrompe tra le strade di Parigi seguito da tanti, molti altri in poco più di un’ora.
Si torna subito indietro di dieci mesi, ad un’altra sparatoria, ad altro sangue versato sulle strade, ma sempre a quell’inesorabile nemico; che risponde allo stesso terribile nome: “ISIS”.

A meno di un anno di distanza dagli avvenimenti di Charlie Hebdo, la città della luce si spegne ancora una volta assediata da un nuovo attacco terroristico.

Uno stadio, un ristorante, un teatro; il bersaglio è chiaro: una generazione.

Quella tra i 20 e i 30 anni: di quei ragazzi che la guerra non l’hanno mai vissuta, cresciuti con la tecnologia e connessi col mondo.

E’ proprio lì che l’Isis ha scelto di insinuarsi, come a bloccarne la crescita, a minarne le certezze.

E mentre tra le strade della ville lumiere riecheggiano ancora le note di Imagine, suonate al pianoforte da un musicista italiano, ci domandiamo: Dobbiamo davvero stare alla larga da tutti quelli diversi da noi?

I riflettori sono tutti puntati sull’UE e sulle sue scelte future.

I governi di tutta Europa si stanno muovendo verso un incremento dei controlli e delle restrizioni; voci disparate ma intense insistono su un’idea ormai frequente: la sospensione di Schengen.

Sospendere il traffico di persone da uno stato ad un altro impedirebbe infatti, nell’ottica di paesi destabilizzati dalla paura, che i fatti di Parigi possano ripetersi ancora una volta.

Ma vale la pena limitare la libertà di tutti per una parvenza di sicurezza nazionale?

Per quanto riguarda gli attacchi del gennaio scorso, i responsabili erano residenti in Francia o addirittura di nazionalità francese, e si può dire lo stesso per gli episodi in Spagna o in Inghilterra dell’ultimo decennio.

Nonostante ciò, siamo ostinati nel credere che la minaccia sia qualcosa di diverso, esterno da noi, che il male venga da fuori e solo da fuori.

E se allora la paura dei cittadini stesse diventando o fosse in realtà paura per il diverso, per lo straniero?

“L’immigrazione è l’arma su cui contano per conquistarci, annientarci, distruggerci.” Scrisse la Fallaci in uno sfogo a caldo diretto contro gli islamici e contro una società aperta, in seguito all’attentato dell’11 settembre.

Un discorso guidato dalla paura e dalla rabbia di non aver potuto evitare quella tragedia.

Un discorso basato su un unico idea: l’Intolleranza.

Ma ha senso rispondere all’odio con l’odio?

Ha senso chiudersi in se stessi e lasciarsi guidare dal panico, da idee forse un po’ retrogade, e avere paura per sempre dell’uomo nero?

Parliamo delle persone che rifiutano di accogliere i profughi in fuga da una una vita priva di futuro, delle stesse persone che “Gli stranieri rubano il lavoro agli italiani” e che in fondo vivono la vita con i paraocchi; sempre convinti che il male stia negli altri.

E se un giorno accendendo il televisore stupiti trovassimo quell’uomo nero in un vicino sempre educato e insospettabile o in un qualsiasi cittadino come noi?

Articolo scritto da Alessia Cugnigni

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