Chi protegge e chi aggredisce

TR07_novembre_1Violenza da parte dei poliziotti sui criminali e America del diciottesimo e diciannovesimo secolo è un collegamento immediato che purtroppo sta ormai cadendo in disuso. Sono sempre più frequenti, infatti, atti di pestaggio anche in paesi che venivano identificati come stereotipo di giustizia.

Ultimo in ordine cronologico è il caso del Canada, teatro di una terribile violenza da parte di due agenti delle forze dell’ordine a scapito di un giovane ragazzo di ventuno anni, con l’aggravante del fatto che il malcapitato fosse portatore di disabilità mentali.

Doppio scandalo se si aggiunge all’innocenza della vittima anche la sua disabilità mentale.

Nel caso la notizia ci appaia sempre come un evento lontano, basti sapere che anche qui in Italia, si sono verificate situazioni del genere. Prendiamo ad esempio il “Caso Cucchi” divenuto noto a seguito della morte per shock della vittima. Ci rendiamo conto immediatamente che questa realtà ci è più vicina di quanto credessimo e ci tocca direttamente sia dal punto di vista emotivo che materiale.

È sufficiente una cifra, 385, ossia il numero di vittime uccise dalla polizia americana dall’inizio dell’anno, per comporre il titolo di un quotidiano, ma non per mettere un freno agli atti di violenza. Se si guarda più in profondità si scopre che otto di questi casi riguardavano minori di diciotto anni; vite di giovani spezzate per l’abuso di potere da parte di coloro che hanno il dovere di proteggerci. Un’altra grande porzione è costituita da persone di etnia latino-americana o afroamericana, e così, ogni singola vittima fa tremare l’intera America, per non dire l’intera umanità, al ricordo di quella discriminazione razziale che si è tanto combattuta e che, purtroppo, è riuscita a sopravvivere camuffata, ora come allora, da futile retorica. Le giustificazioni degli aggressori sono infatti varie: dalla presunta prevenzione all’altrettanto contestabile dichiarazione di autodifesa, poco credibili magari, ma spesso accettate ed assecondate.

Se si continuava a sperare che i pregiudizi razziali sarebbero andati affievolendosi fino a scomparire, soprattutto a seguito dell’elezione a Presidente degli Stati Uniti di Barak Obama, cittadino afroamericano, adesso siamo tutti molto più titubanti. È evidente la volontà di cambiamento, ma non è ancora atto compiuto; purtroppo non siamo ancora completamente degni del titolo di società civilizzata che ci attribuiamo.

Articolo scritto da Eleonora Verucchi

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