Franca Viola

TR06_marzo_2“Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella.” Questo è l’articolo del codice penale in vigore fino al 5 giugno del 1981. Oltre a questo esso prevedeva anche il cosiddetto “matrimonio riparatore”: qualora venisse stuprata una minorenne o una donna illibata era prevista l’estinzione del reato con il matrimonio al fine di salvare l’onore della giovane e della sua famiglia. Se ora le cose stanno diversamente lo dobbiamo a Franca Viola, diciassettenne siciliana che ebbe l’ardire di rifiutare Filippo, un giovane compaesano appartenente alla famiglia mafiosa dei Melodia. Siamo nel 1965 e all’epoca spesso e volentieri i matrimoni erano imposti dalle famiglie. Così avviene anche per la giovane Franca, che viene promessa a Filippo. In seguito alla prigionia dell’uomo, tuttavia, Franca decide di rompere il loro rapporto, appoggiata dal padre. Ed è qui che cominciano i problemi. Filippo non accetta il rifiuto e, certo del timore e del rispetto di cui gode, inizia a infastidire dapprima e minacciare poi la famiglia di Viola, tanto da arrivare al punto di rapire la ragazza con l’aiuto di dodici uomini. Franca viene quindi stuprata e segregata per otto giorni. In quei tempi avere un rapporto sessuale al di fuori del matrimonio per una donna era considerato immorale e andava a influire per sempre sulla vita sociale della ragazza e della sua famiglia. È per questo motivo che Filippo propone al padre di lei di sposare la ragazza per salvarne la moralità. Fin qui tutta normale amministrazione, non è un episodio fuori dal comune e dal modus operandi dell’epoca. La storia, non solo di Franca ma anche di tutte le donne a seguire, cambia nel momento in cui lei decide di rifiuta l’offerta. Per liberarla il padre finge di accettare il matrimonio e all’incontro organizzativo che doveva avvenire tra le due famiglie fa trovare una spiacevole sorpresa, i carabinieri pronti ad arrestare Filippo.

Il caso ebbe una forte eco mediatica e causò diverse consultazioni parlamentari. Dopo la condanna per Melodia a undici anni di reclusione molte altre donne ebbero il coraggio di seguire l’esempio di Franca fino ad arrivare al 1981, anno in cui venne abrogato l’articolo 587. Non fu un gesto facile da affrontare quello di Viola, esclusa e additata da tutti i suoi compaesani. Le conseguenze della sua storia non si limitarono alla dovuta decisione di lasciare il paese d’origine ma previdero anche diverse minacce da parte della mafia e la necessità della scorta durante tutto il periodo del processo. Nonostante queste difficoltà nel 1968 riuscì a sposare il ragazzo che amava, Giuseppe Luigi, vivendo un matrimonio felice e voluto realmente da lei.

La decisione di raccontare la sua vicenda è dettata dai tempi moderni, forse non così distanti da quel lontano 1965. Ancora oggi, sebbene il delitto d’onore non sia più legale, donne e figlie vengono uccise, stuprate, maltrattate da un maschilismo incapace di accettare i rifiuti e prevaricatore nei confronti della libertà altrui. Il matrimonio riparatore non esiste più, certo, ma il viaggio verso l’uguaglianza è ancora lungo. La decisione di una semplice ragazza di non sposare il proprio stupratore, che ai nostri occhi potrebbe apparire ovvia se non scontata, è riuscita a cambiare il finale della storia di molte altre donne, affermando a tutta l’Italia la volontà e il diritto alla autodeterminazione, la possibilità di costruire la propria vita e il proprio futuro seguendo le proprie aspirazioni, i propri ideali, i propri progetti. Un monito per tutti, uomini e donne. Perché, ricordiamolo, la discriminazione non è solo al femminile.

Articolo scritto da Eleonora Bordignon

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