Ingredienti per il Futuro

TR07_febbraio_2I dati economici italiani dell’ultimo anno sembrano positivi. Il PIL è aumentato oltre l’1%, la produzione industriale è tornata a crescere, lo spread si è abbassato, i consumi sono tornati a correre. C’è chi attribuisce il merito alle riforme, chi invece ad una particolare congiuntura. Molti si chiedono se sia arrivata la fine della crisi che da sette anni rende incerte le sorti del Paese. Le chiusure in negativo delle borse nelle ultime settimane non lasciano ben sperare, ma si sa: la finanza è spesso imprevedibile. Certo è che, per vedere un futuro più roseo all’orizzonte, affidarsi ai mercati non basta. Occorre agire. Ma chi può farlo? Innanzitutto la politica, che deve tornare a dialogare con la finanza con più decisione, poi le imprese e le banche, che nelle giuste condizioni possono rivelarsi decisive in un cambio di rotta, e infine i cittadini, che devono avere gli strumenti per comprendere e per scegliere bene. Cosa fare è invece una domanda più difficile, che merita studi approfonditi. Bisogna sicuramente tornare a guardare la questione economica da più punti di vista e nella sua stretta correlazione con quella politica, sociale e ambientale. Oltre a strumenti di rapido utilizzo, è essenziale porre in essere politiche lungimiranti. Per questo non esiste una ricetta pronta, ma tanti ingredienti da amalgamare.

Per un futuro migliore, servono innanzitutto protagonisti migliori: giovani competenti. L’Istruzione pubblica italiana è in grado, sulla carta, di fornire agli studenti conoscenze di primo livello, ma nella pratica ci sono ancora troppe difficoltà. L’abbandono scolastico nel 2013 era al 17%, ben sopra la media europea. La spesa pubblica nel settore è una delle più basse d’Europa, solo lo 0,4% del PIL,  e i tagli degli ultimi anni sono stati impietosi. I dati sull’integrazione lavorativa non sono buoni: nel 2011, lavorava il 48,8% dei diplomati del 2007, e, dopo quattro anni dal titolo, era occupato il 69,3% dei laureati dei corsi triennali e il 74,5% di quelli dei corsi lunghi. Per formare giovani competenti occorre tornare ad investire nell’Istruzione pubblica e favorire canali d’integrazione lavorativa. Con un gioco di squadra istituzioni-imprese, è possibile.

Per aumentare la competitività delle imprese è necessario investire di più anche in Ricerca e Sviluppo. Non potendo puntare sulla quantità, l’Italia deve puntare su qualità e innovazione. Nel 2013 le spese pubbliche e private in questo senso sono state pari all’1,31% del PIL. Il Bel Paese rimane così ben lontano dai Paesi scandinavi e dalla Germania (3%). Le istituzioni sembrano non accorgersi del problema tanto che, rispetto all’anno precedente, hanno ridotto le spese del 3,4%. Il privato è stato invece ben più lungimirante con un +3,4%. Competenze e innovazione sono fattori essenziali nei settori d’eccellenza, in cui l’Italia opera con maggior successo. E da qui può partire la ripresa.

Un nodo centrale per il Paese è poi quello dell’illegalità. Nel 2013 il valore dell’economia sommersa era pari al 12,9% del PIL. Mentre, tuttora  l’evasione fiscale è il 7,5%. Recuperare almeno parte di queste cifre non solo vuol dire poter investire e detassare le imprese, ma anche combattere illeciti legati a forme di criminalità o sfruttamento. Occorre poi disporre di strumenti normativi e penali forti per sconfiggere la piaga della corruzione, che soffoca la competitività e crea un clima di sfiducia verso il Paese. In un’ottica lungimirante sono essenziali l’educazione alla legalità e la costruzione di una “etica economica”.

Ogni sforzo sarebbe, però, vano se non avesse tra i suoi obiettivi quello di creare posti di lavoro. È la grande sfida che la Costituzione pone da sempre: “La Repubblica riconosce […] il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Bisogna tornare a considerare il lavoro una priorità, il luogo in cui il cittadino può dare il meglio di sé, e questo, anche in termini economici, paga.

Articolo scritto da Giacomo Righetti

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