Lea

TR01_marzo_1Ci sono terre in cui nascere donna vuol dire non essere libera. Di studiare, di realizzarsi, di lasciare un marito che non si ama più e con il quale non si può più condividere un progetto di vita, di immaginare e sognare un futuro diverso da quello criminale per se stessi e per i propri figli. Sono terre in cui non vi è libertà neppure all’interno dei sistemi che le controllano, dove non esiste la persona, dove ogni individuo è identico all’altro e dove i giovani che vi crescono vengono “educati” verso interessi mafiosi. Il tutto tramite logiche molto semplici, come “o sei servo o sei padrone”, “o sei mio amico o non lo sei”.

Lea viveva in una di queste terre, Petilia Policastro, in cui a governare è la ‘ndrangheta. Il fratello Floriano è il capocosca mentre il marito Carlo è uno dei suoi uomini più fidati. Date le circostanze per Lea non si prospetterebbe nessun futuro diverso: il suo destino è segnato.

E invece no. C’è troppa vitalità in Lea, troppa fierezza e desiderio di libertà. Non c’è alcuno spazio per la paura, soprattutto quando il futuro in questione è quello della figlia Denise. Si ribella, Lea. Lascia il marito e rivela alla giustizia i suoi traffici. Lei e la figlia entrano nel programma di protezione divenendo eroine dei tempi moderni, o più comunemente chiamate “testimoni di giustizia”. La vita di un testimone di giustizia non è mica facile: chi decide di testimoniare riguardo ai fatti di mafia sa contemporaneamente di stravolgere la propria esistenza e quella della propria famiglia. Eppure quel sapore di libertà attrae più di tutto.

Pulizia, onestà, dignità, uguaglianza, giustizia.

Il 24 Novembre del 2009 Lea “scompare”. L’ormai ex-compagno Carlo racconta alla figlia Denise che se n’è andata, che l’ha abbandonata. Ma lei, seppur giovanissima, non gli crede e per di più decide di denunciarlo: Lea è morta, uccisa per mano di suo padre.

Il processo si chiude nel 2014, Denise ha ora davanti a sé un futuro senza mafia. “Perché se questo è successo, tutto questo è successo, è per il mio bene…ciao mamma”.

Lea e Denise. Due nomi, due storie indissolubili, due donne libere. E libertà è guardare in se stessi, ascoltare la scomoda coscienza, essere veri cittadini.

È pulizia, onestà, dignità, uguaglianza, giustizia.

Ma è anche memoria e impegno, quell’impegno che rende capaci di dar voce a chi ha pagato con la vita. È guardare oltre, oltre ‘ndrangheta, Camorra, Cosa Nostra, Sacra Corona Unita, piaghe che affliggono tanto il sud, quanto il nord e l’oltreoceano. Mali invisibili che tanto invisibili non sono più, in Lombardia, in Liguria, in Piemonte, ovunque. Sciascia ci aveva visto lungo quando diceva che “forse l’Italia sta diventando tutta Sicilia”.

Ma se gli invisibili oggi sono imprenditori, professionisti e direttori di aziende capaci di condizionare scelte sia economiche che politiche, a che pro rischiare? Se c’è un sistema capillare che si insinua silenzioso nelle nostre vite, che fare? In realtà, le cose che si possono, o forse si devono, fare sono tante. Ad esempio scrivere, augurandosi che qualcuno abbia la pazienza di leggere queste storie di coraggio e libertà. Perché alla fine di tutto ci si può liberare, tranne che della libertà, sosteneva Giorgio Gaber.

Lea questo lo sapeva bene e insegnò alla figlia, ma anche a tutti noi, a saperne gustare il dolce sapore.

Articolo scritto da Giulia Mannino

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