Man in the box

TR18_marzo_1Nel mese di dicembre c’è chi beve la cioccolata calda con amici e chi è più “trasgressivo”.

«È un po’ strano avere ventitré anni e non essere mai rimasto da solo per una settimana». Forse non tutti sono a conoscenza del curioso esperimento che il giovane islandese Almar Atlason ha provato su se stesso per testare la propria autonomia, lo scorso dicembre. Partiamo dall’inizio, però. Almar è uno studente d’arte presso l’Iceland Institute of Arts di Reykjavik e, d’accordo coi propri docenti, ha scelto di svolgere parte di un progetto dell’esame finale del suo corso di metodi e soluzioni in modo particolare: si è chiuso per una settimana dentro una scatola di vetro come mamma l’ha fatto. Il tutto mentre una webcam lo filmava in tempo reale 24h su 24. La prima domanda che tutti si sono posti è: perché?  Atlason ha risposto che per avere dati su cui elaborare qualcosa gli c’è voluta una «totale mancanza di controllo, dipendendo solo dalle mani degli altri».

Il ragazzo si è però ben attrezzato lasciando due aperture da dove  i suoi colleghi universitari, passando per il corridoio, avrebbero potuto porgergli cibo o altro. I suoi amici gli hanno dato per primi la cena, un paio di sportine e della carta igienica. Eh già, non si può uscire dalla scatola e, da bravo sistema isolato, questo luogo non scambiava con l’ambiente energia, ma neppure… materia. Tuttavia, non è stato questo che ha stupito o sconvolto coloro che passavano di fronte a un uomo che si teneva una sportina dietro al fondoschiena per liberarsi. Infatti, durante la diretta video del quarto giorno (giovedì, per essere precisi) Almar non è riuscito a “placare gli ormoni” e ha sfogato il proprio desiderio sessuale in modo onanistico. Tanto è bastato perché arrivassero addirittura delle minacce di morte, peraltro ritenute credibili dalla polizia di Reykjavik. Sulle porte dell’istituto sono state trovate tracce di un tentativo di effrazione da parte di ignoti che, evidentemente, hanno cercato di avere un contatto con lo studente.

Una volta terminata la settimana, Atlason sarà sicuramente stato elogiato o comunque sostenuto nel proprio lavoro, ma è veramente questo a cui oggi l’arte spinge? Sembra quasi più uno scherzo elaborato da amici in seguito ad una scommessa persa, più che un progetto valutabile di un istituto d’arte. Di sicuro questa si esprime nei modi, nelle idee e nei luoghi più diversi, ma sembra di essere arrivati ai limiti del grottesco. Non bisogna fermare l’espressione artistica all’Amore e Psiche di Canova del 1793, ovviamente, ma già il Dadaismo sembra essere un eccesso motivato e, a modo suo, di gusto.

Bisogna quindi imporre barriere a ciò che va considerato arte? A questa domanda si usa la celeberrima affermazione di Vasilij Kandinskij, creatore della pittura astratta nel XX secolo, che definisce arte una qualsiasi opera che “oltrepassa i limiti nei quali il tempo vorrebbe comprimerla e indica il contenuto del futuro”.

Articolo scritto da Emanuele D’Eliseo

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