Meglio se taci!

TR04_febbario_1Si aggirava per le vie, percorreva i marciapiedi a passi lenti osservando con attenzione ciò che gli si manifestava attorno; qualche volta si fermava a riposare su una panchina senza mai destare il suo occhio vigile da qualsiasi cosa avesse vita intorno a lui; salutava con un cenno chiunque prestasse attenzione alla sua presenza, ma non amava dialogare sebbene ascoltasse con attenzione qualsiasi discorso gli venisse rivolto o anche semplicemente la gente che dialogava. Era questo lo stile di vita che aveva scelto da molto tempo, e l’esperienza lo aveva reso consapevole di una realtà che sembrava aver affondato le proprie radici in maniera irreversibile: i dialoghi prendevano forma e assumevano le sembianze del nome che portano solo nel caso in cui ad esprimersi erano voci di opinioni concordi; nel caso contrario, invece, qualcosa non andava: per quanto ne sapesse, avrebbe dovuto assistere a dibattiti o discussioni volte alla conoscenza maggiormente completa di un tema osservato da più angolazioni; contro le aspettative, però, assisteva a vere e proprie battaglie in cui le armi erano le parole, scagliate come frecce allo scopo di colpire l’avversario e, trafiggendolo, inculcargli la propria idea, o ancora, battaglie il cui vincitore era chi urlava più forte per non dare spazio alle voci differenti.

Era contrario a questo diffusissimo meccanismo in cui la libertà d’espressione era una legge sconosciuta nonostante per essa molti uomini si fossero battuti in guerre di maggiore valore, sebbene si trattasse di guerre.

Aveva letto che << Influenzare qualcuno significa dargli la propria anima. Egli non pensa più i suoi naturali pensieri, non arde più delle sue naturali passioni, non ha più le sue reali virtù. I suoi peccati, sono di accatto. Egli diventa l’eco di una musica suonata da un altro, l’attore di una parte che non è stata scritta per lui>>, riteneva tuttavia che, chi si fosse lasciato influenzare, quando lo avesse fatto per omologarsi ed essere bene accetto, avrebbe sì lasciato marcire un parte di sè senza averla lasciata libera di manifestarsi, ma sarebbe stato vittima di una propria scelta, oltre che di chi avesse approfittato della sua malleabilità, caso che, per quanto triste, lo sarebbe stato meno di quello in cui chi avesse voluto, non avrebbe potuto manifestarsi nel suo essere perchè differente.

Immaginiamo di aprire gli occhi un giorno e ritrovarci immersi in una realtà di un’unico colore, tutto nero o rosso o di qualsivoglia colore, e riuscire a stento a distinguere le varie cose delle quali forse si percepirebbe solo la sagoma: molto probabilmente chiederemmo implorando di svegliarci da quell’incubo. Ebbene, senza renderci conto di ciò, stiamo dipingendo noi un mondo tutto di un colore! Il mondo è grande e dunque non ci rendiamo conto di quanto la macchia monocromatica si sia estesa e quanto resti ancora da dipingere, ma se osserviamo dall’alato questo fenomeno, possiamo pulire la tela che presentava già un magnifico dipinto in cui su uno sfondo verde, azzurro e di molti altri colori, vivevano uomini di altrettanti svariati colori e forme, di altrettante svariate lingue, culture e tradizioni, e con altrettante innumerevoli cose differenti da dire che rendevano quel dipinto un mondo da scoprire.

<<Non condivido la tua idea ma darei la vita perchè tu possa esprimerla>> disse Voltaire. Molti sono d’accordo e ammirano questo invidiabile spirito di tolleranza, ma quanti effettivamente lascerebbero spazio alla voce di chi vorrebbe esternare una verità ad altri scomoda fino a battersi per dare questa possibilità a chi ne è privo?

Articolo scritto da Ylenia Sangiorgio

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