Non esiste la licenza di uccidere

<<Il fatto è che nel suo articolo gli uomini si dividono in “ordinari” e “straordinari”. Gli ordinari devono vivere nell’obbedienza e non hanno il diritto di violare la legge, perché loro, dovete sapere, sono ordinari. Mentre gli uomini straordinari hanno il diritto di commettere qualsiasi delitto e di violare in tutti i modi la legge, proprio in quanto sono straordinari.>> Alle parole di Dostoevskij in “Delitto e castigo” ci si rende conto che il tema proposto dallo scrittore russo è attuale più che mai. Perché delle persone sentono il diritto di vedere la luce spegnersi negli occhi di altri? Per noia? Per macabra “curiosità”? Per difendere un proprio ideale? Chi commette un delitto è un superuomo, un piccolo eroe che si fa vendetta da solo (come sostiene Raskòl’nikov ,il protagonista del romanzo) o è un subdolo, debole, malato, violento, un mostro? Tanti perché, tanti casi, tanti quesiti irrisolti. Potrei scrivere che le parole di Dostoevskij rispecchino la realtà e che in fondo esistono persone che hanno il diritto di uccidere, magari per conquistare un certo territorio se si è in guerra o per far valere degli ideali. Ma purtroppo la vita non è una partita a Risiko: uccidere qualcuno è togliere un tassello al grande puzzle di cui tutti noi ne siamo parte. Una riflessione del genere si è acuita quando i notiziari hanno parlato dell’omicidio di Luca Varani, un ventitreenne romano ucciso nel quartiere Collatino. Gli assassini sono Marco Prato e Manuel Foffo, due trentenni che non hanno esitato a ucciderlo senza un motivo plausibile; e infatti, come gli stessi hanno dichiarato :“volevamo uccidere qualcuno solo per vedere che effetto fa.” Se volessimo chiedere al protagonista di “Delitto e castigo” in quale categoria inserire questi uomini, probabilmente si troverebbe spiazzato: sono uomini “ordinari” che hanno voluto agire da uomini “straordinari”. Il risultato però è sempre lo stesso: c’è chi muore e chi non sempre paga. Non esiste un impedimento vero e proprio a uccidere, come non esiste una licenza di uccidere. Per i Greci esisteva il diritto positivo, ovvero l’insieme di leggi fatte dagli uomini per gli uomini, che si contrapponeva al diritto di natura, leggi divine che tendevano a giustificare ogni misfatto. In qualche modo Dostoevskij scrive facendo riferimento al diritto di natura (perché gli uomini “straordinari” non sono null’altro se non coloro che non si avvalgono del diritto positivo). Suscita sconcerto il fatto che i due assassini romani non sono dei Greci, né tantomeno, dei personaggi del romanzo: sono persone vere che non hanno voluto uccidere per provare le loro considerazioni teoriche, come fa invece Raskòl’nikov, il protagonista, ma per un loro macabro gusto indotto dall’effetto delle droghe. Quindi che commento si può aggiungere? Le argomentazioni in difesa di un omicidio non potranno mai essere valide. Chi ritiene obsoleto un discorso del genere o trova giustificazioni a un qualsiasi omicidio, genocidio o sterminio che sia, si fa complice di un sistema inquietante.

Articolo scritto da Beatrice Tranquilli

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Originalità: 1
Messaggio positivo: 2
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