Oltre il confine

TR13_novembre_3Quando a soffrire è l’umanità intera, significa che si è andati oltre il confine. No. Non si tratta di confini territoriali, nazionali o di disegni espansionistici. Significa che si è andati oltre ogni limite etico e razionale. Perché quando l’uomo, essere razionale, si sente impotente, avvilito, sopraffatto, schiacciato e umiliato, significa che l’irrazionalità del selvaggio ha preso il sopravvento. La violenza, l’odio, il terrore hanno preso il sopravvento. E non c’è alcun motivo al mondo che giustifichi tale degenerazione. Perché Valeria, come ogni vittima della violenza senza limiti, dell’odio gratuito, del terrore ingiustificato, sarebbe potuta essere me come qualsiasi altro essere umano su questa terra. E non riesco a immaginare quanto amare e disperate sarebbero state le lacrime di mia madre, quanto vana, senza risposta, la rabbia di mio padre. Mi sento impotente. Perché sarei potuto essere Valeria e come lei non sarei riuscito a sfuggire, fuggendo, quel proiettile che fatalmente mi avrebbe colpito alle spalle. Provo a interrogarmi. Ripenso a come anche io, esattamente come Thomas, sarei stato entusiasta quella sera di andare al concerto. Sogno ogni giorno di far vibrare le note quotidiane della mia vita. E il Rock sarebbe stato perfetto. Ma le sue note vitali si sarebbe frantumate agli spari di quegli uomini che di umano non avevano nulla. Sarei voluto andare al concerto, perché ognuno di noi ha bisogno di distrarsi. Perché anche io, come Valeria, avrei voluto premere pausa al mio viaggio in cerca di successo; perché anche io, come Romain, avrei pensato bene di staccare dopo una giornata di allenamento. Mi sento impotente ma, afflitto, cerco di dare una risposta. Una risposta che non trovo, che nessuno riesce a trovare. E ciò mi getta ancor di più nell’abisso della sconfitta. Sangue è stato versato, lacrime non possiamo che versare. Perché anche io come Melvil avrei voluto che quella sera mia madre sarebbe ritornata a casa, senza di lei non sarei riuscito a prendere sonno; perché, anche se di soli 17 mesi, già avrei saputo che quella donna mi avrebbe accompagnato per tutta la vita. Ma Melvil non vedrà più sua madre riaprire la porta di casa, come Valeria non potrà più fare carriera e come Romain non giocherà più alcuna partita di rugby. E come loro tante altre persone. Persone di cui non rimarrà che leggere storie, esattamente come quella della mia vita, che si sono però spente in un bagno di sangue. So solo che non sarebbe dovuta andare così, che il male sarebbe dovuto essere stato fermato, che il Rock avrebbe dovuto ancora suonare le corde della loro vita. “Voi non avrete il mio odio”, dice Antoine, probabilmente stringendo forte al suo petto Melvil, che ora si ritrova a crescere da solo. L’odio semina odio. E so che non avrete nemmeno il mio odio. Ma la mia pena. Come pena avrà di voi il mio e il vostro Dio, che non avranno lo stesso nome, che per voi non diranno le stesse parole, ma che in questo momento penso si staranno abbracciando e dicendo, “Tranquillo non è colpa tua”.

Mi sento impotente. Le cose dovevano andare diversamente. E non so bene come voi interpretiate la parola di Dio, ma sono certo che non avreste dovuto permettervi di far crescere Melvil senza madre, di infrangere i sogni di Valeria, di far soffrire alcun uomo su questa terra. Non avrete il mio odio, ma la mia indignazione si. Sarà un problema di interferenza, di rete, di collocazione geografica, ma io sento che Dio mi dice di amare il prossimo come me stesso, di pregare per voi, per il vostro pentimento, perché se vi odiassi, amando Dio, sarei un bugiardo. Mi sento impotente, turbato, offeso, ma continuo a credere in un mondo migliore, perché Valeria, come gli altri sognatori che in quella tragica serata del 13 novembre a Parigi hanno lasciato per sempre questa vita, lo merita davvero.

“Puoi dire che sono un sognatore

Ma non sono il solo

Spero che ti unirai a noi anche tu un giorno

E il mondo vivrà in armonia”

John Lennon

Articolo scritto da Riccardo Mazza

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