Ora come allora, l’accoglienza dei migranti

E0702 KAULBACH 9493

“Se c’è un dio, protettore dei supplici, qualunque sia il tuo nome, ovunque tu sia,
volgi il tuo sguardo benigno a questa schiera di profughi che giunge per mare dalle rive sabbiose dell’Africa. Siamo esuli in fuga dalla terra di Siria, condannati a lasciare le nostre città, non per qualche delitto commesso, ma per scampare all’incubo di una vita di miseria e di dolore alle lacrime e ai lutti causati da una guerra senza fine.
Fuggimmo tutte sull’onda del mare per approdare ad una terra benigna.”

Coste italiane? 2015?

No, Grecia, 463 a.C. Quasi 2500 anni fa, eppure la stessa situazione.

In periodi come quelli che stiamo vivendo non c’è forse dramma più attuale di questo: “Le Supplici” di Eschilo. Un gruppo di migranti in fuga dalle terre di Siria, richiedente asilo alla patria della giustizia, Atene. Sono passati venticinque secoli eppure i sentimenti, l’angoscia, la paura, ma anche la speranza di chi decide di lasciare la propria terra sono gli stessi. Una cosa forse è cambiata, il valore dell’ospitalità: sacra per gli Ateniesi che, dopo una decisione comune, accolgono le supplici come cittadine e fanno sì che si integrino nella società diventandone parte integrante, ma forse sottovalutata e a volte dimenticata al giorno d’oggi.

Quella raccontata da Eschilo è solamente una fra le più antiche migrazioni periodiche che si sono susseguite e continueranno a susseguirsi nella storia dell’umanità, vedendo come protagonisti popoli diversi. Basti pensare ai coloni greci, alle migrazioni di spagnoli e inglesi nelle colonie americane o alla più recente migrazione di più di 30 000 italiani fra il XIX e il XX secolo. Tutti potenzialmente potremmo essere o diventare migranti. Abbiamo mai riflettuto su come sarebbe se invertissimo le carte in tavola? Se fossimo noi i migranti costretti a lasciare il proprio paese straziato da guerre, violenze, povertà, fame e malattie e a recarsi in una terra sconosciuta in cerca di una vita migliore? Ci siamo mai chiesti cosa significherebbe essere respinti oppure accolti sì, ma poi emarginati? Pensiamoci. Non vorremmo forse tutti essere accolti a braccia aperte, essere compresi per la situazione dalla quale proveniamo, essere accettati, essere al sicuro?

È facile parlare quando si è tranquilli, nel proprio paese, con la propria famiglia, quando si è felici. È facile accusare coloro che arrivano nelle nostre terre con mezzi sfasciati di essere dei ladri, di rubarci il lavoro. Anche noi siamo stati migranti, insultati e bistrattati per le nostre origini dopo essere arrivati in un paese straniero.  E proprio per questo motivo dobbiamo riconsiderare l’accoglienza come unica opportunità per queste persone di essere felici. Dobbiamo agire senza pregiudizi,dandoci da fare tutti ma soprattutto insieme, perché, come si dice, “con una mano dai e con due ricevi”. Chissà, magari anche noi avremo bisogno di una mano un giorno.

Invece, contrariamente a quanto ci suggerisce il buon senso, i paesi europei faticano a collaborare per trovare una soluzione comune a questo problema sempre più grave e fuori controllo e i territori meta degli sbarchi di profughi si trovano sempre più spesso costretti ad agire da soli.

La storia ci ha già concretamente fornito delle soluzioni a questo problema in diverse situazioni. Se è vero che dagli errori si impara e che historia è magistra vitae, allora siamo dei pessimi alunni, ma possiamo sempre migliorare. Proprio la storia infatti ci ha mostrato l’importanza dell’accoglienza e dell’integrazione come soluzione migliore, perciò tutti noi dovremmo poter dire    :” Da questi volti che ci facevano paura grande vantaggio si profila per gli abitanti della nostra città. Accompagnateli  in città e guidateli ora verso le loro nuove case. […] La città è pronta ad accogliervi.”

Articolo scritto da Francesca Amadio

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