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TR17_novembre_1Il collettivo hacker Anonymous dichiara guerra allo stato islamico con un’imponente chatroom che raccoglie hacktivisti (e non) da ogni parte del mondo. Se lo Stato Islamico faceva del web la propria piattaforma di reclutamento, Anonymous mira a distruggerla: benvenuti nell’Operation Charlie Hebdo.

“Abbiamo sempre lottato per la libertà di espressione, non ci fermeremo ora. Attaccare la libertà di espressione è attaccare Anonymous. Noi non lo permettiamo: tutte le aziende e tutte le organizzazioni connesse a questi attacchi terroristici si aspettino una reazione massiccia di Anonymous. Vi rintracceremo, vi troveremo e non ci fermeremo mai. Noi siamo Anonymous. Noi siamo la legione. Noi non perdoniamo. Noi non dimentichiamo. Aspettateci.” dichiarano in un video-messaggio, rilasciato in più lingue, e in un vero e proprio comunicato stampa. Per una volta, non è solo retorica. Infatti alla base di un movimento come quello hacktivista vi è proprio la difesa della libertà di espressione e della circolazione di informazioni.

In ogni caso questa operazione non è né facile né scontata, ci sono infatti vari rischi e possibili errori in cui la campagna può incorrere. Anonymous, per la prima volta, si troverà a fronteggiare, non più entità strutturate e centralizzate (come sedi governative o aziende), bensì una rete molto più liquida, dispersiva e sfuggente. Ma in cosa consiste realmente l’operazione? Ha il suo epicentro organizzativo sulla chatroom del sito AnonOps, dove gruppi hacker (e non) cercano di collaborare gli uni con gli altri. Con più di 30000 seguaci su twitter e più di 1000 utenti nella chat, risulta essere l’operazione di Anonymous più partecipata di sempre.

Le priorità dell’operazione possono essere riassunte in quattro “semplici” punti:

  • Trovare una lista di siti jihadisti;
  • Scansionarli alla ricerca di vulnerabilità;
  • Creare un database con i dati ottenuti;
  • Hackerare i siti vulnerabili per poi defacciarli (cambiare la homepage con un messaggio di Anonymous) o scaricarne i dati, cercando informazioni sui loro proprietari/utenti. Nel caso in cui non fossero hackerabili, fare un attacco DDoS, mandandoli offline.

Ad aiutare il lavoro degli Anon vi sono numerosi traduttori madrelingua di arabo e urdu, proprio per effettuare una migliore scansione dei siti evitando di defacciare piattaforme che non hanno nessun legame con cellule integraliste. La meticolosità in una campagna di tale scala, infatti, non è mai troppa: gli errori non sono ammessi. Inoltre un secondo filone si occupa della sospensione di account Facebook e Twitter, segnalandoli in massa.

Numerose sono le liste di siti e di account Twitter, raccolte su vari pad (documenti online). Ad esempio in uno di questi, sono indicati circa 560 account da sospendere; quelli segnalati come già sospesi sono 186; mentre tra i siti già oggetto di attacco ricordiamo il sito estremista francofono Ansar-alhaqq, che è stato mandato offline con un attacco DDoS, seppur tornato online poco dopo.

Tuttavia, come ogni medaglia che ha due facce, sorgono molti dubbi riguardo l’utilità di tale iniziativa: account, forum e siti veicolano, sì, la propaganda e il reclutamento di nuovi miliziani ma possono anche essere fonti di intelligence e informazioni per polizie e servizi segreti che stanno indagando sul terrorismo. Non tutti di fatti sono d’accordo sul chiuderli, ad esempio possiamo ricordare le tensioni fra l’intelligence e la polizia britannica, la quale voleva chiudere qualsiasi account pro-terrorismo dopo la morte del giornalista James Foley. La risposta degli Anons a tali controversie è di due tipi: da un lato ritengono comunque utile spegnere la macchina di propaganda online jihadista; dall’altro, nel caso ottengano informazioni preziose, sono disposti a passarle alle autorità.

Einstein diceva: “Non so con quali armi sarà combattuta la III Guerra Mondiale, ma so solo che la IV Guerra Mondiale sarà combattuta con pietre e bastoni.” Avrebbe mai immaginato che la Terza si sarebbe combattuta dietro uno schermo?

Articolo scritto da Daniela Santoro

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