Il Crocifisso, ovvero: breve storia del razzismo in Occidente

CROCIFISSO IN UNA SCUOLA DI PALERMOIn principio era la croce, e la croce era presso le chiese, e basta. Mai in nessuna casa. Verso l’anno Mille, si ipotizza per un sentimento crescente di perdita della fede originale, si iniziò ad aggiungere alla croce il corpo di Cristo, ma come triumphans, sorridente nella sua Maestà, come Figlio di Dio. È con la metà del Duecento che vediamo imporsi nelle chiese d’occidente il Cristus patiens, la figura di Gesù come la conosciamo oggi, sofferente, sempre più umana. Con gli ordini mendicanti, domenicani e francescani in primis, cambiava la sensibilità cristiana.

Questa è anche l’epoca delle Crociate, ma non pensate che si tratti di un caso. Con questa sensibilizzazione i cristiani d’Occidente vedono nella lotta contro gli infedeli la più nobile forma di imitatio Christi. La croce che i pellegrini soldati portavano sul petto non era solamente un simbolo di guerra, ma una vera e propria promessa di una Passione personale. E questa fu anche l’età delle prime feroci persecuzioni antiebraiche: con una sempre più completa comprensione della tragedia del Golgota sempre più si tendeva a riconoscere negli ebrei i colpevoli del terribile “deicidio”. La Sinagoga era rappresentata spesso nei crocifissi, bendata e cieca davanti al messaggio di Cristo, gli stessi soldati romani erano ebraizzati nelle fattezze. Così la discriminazione e la persecuzione nacquero come gemelle da questo simbolo, nato tanto per sensibilizzare quanto per discriminare (nella sua accezione di dissociarsi, dagli infedeli, ebrei, musulmani…).

Osserviamo quindi la doppia natura di questo simbolo. E proprio per questo motivo, sostengo, c’è questa feroce difesa di questo arredo ecclesiastico anche da parte di laici o persone di diversa credenza. Perché questa volontà di discriminarci non ci ha mai veramente abbandonato (più o meno ininterrottamente, fino alla seconda guerra mondiale si è continuato a costringere gli ebrei a convertirsi o a dare soldi alla chiesa, schernendoli), ed anche oggi vogliamo differenziarci. Da questo punto di vista è vero, il crocifisso va oltre l’essere un simbolo cristiano (il che dovrebbe a rigor di logica bastare a bandirne l’esposizione in luoghi pubblici all’interno di uno stato per costituzione laico, ma tant’è) e raggiunge la massima espressione, perlomeno nel modo in cui è oggi da molti sfruttato, di puro razzismo. Volontà di allontanarsi da quelli che ancora molti  considerano barbari, di mantenere strenuamente la propria identità con un qualcosa che per molti, coloro ai quali riesce più difficile crearsela un’identità, è la soluzione: la tradizione. Che, sia chiaro, non vedo per niente come una brutta cosa, è effettivamente per tutti parte del proprio essere, ma è anche ciò che discrimina, che crea incomprensioni. Perché per vivere insieme ognuno deve rinunciare a parte delle proprie tradizioni, basti pensare anche al matrimonio, o alla semplice convivenza o allo stare insieme di una coppia. Mai fu trovata combinazione di sessi tale che nessuna abitudine di uno desse fastidio all’altro.

Così, anche volendo ignorare tutta la storia, i significati di questo simbolo nei secoli, il razzismo che sempre si porta dietro, pensiamo ad una semplice cosa: comunità significa comprensione. Sacrificio, a volte. Non mantenimento delle più singole abitudini dell’individuo, ma compromessi per il quieto vivere. Non darsi equamente fastidio a vicenda, una tradizione qui, una là, ma annullamento di esso. Perché la società è questo. Una lunghissima serie di compromessi, taciti o meno. Per questo, togliete quel dannato crocifisso. Farete un favore a tutti, a quelli come me non cristiani, a cui dà fastidio vedere valori e identità altrui letteralmente sbattuti in faccia cinque e più ore al giorno fisse, e a quei novelli santi che avranno ormai perso la pazienza di sentirmi sbuffare.

Articolo scritto da Marco Filippin

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